Sempre caro mi fu quest'ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il sguardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete io nel pensier mi fingo; ove per poco il cor non si spaura. E come il vento odo stormir tra queste piante, io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando: e mi sovvien l'eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei. Così tra questa immensità s'annega il pensier mio: e il naufragar m'è dolce in questo mare.
E la gente rimase a casa e lesse libri e ascoltò e si riposò e fece esercizi e fece arte e giocò e imparò nuovi modi di essere e si fermò e ascoltò più in profondità qualcuno meditava qualcuno pregava qualcuno ballava qualcuno incontrò la propria ombra e la gente cominciò a pensare in modo differente e la gente guarì.
E nell’assenza di gente che viveva in modi ignoranti pericolosi senza senso e senza cuore, anche la terra cominciò a guarire e quando il pericolo finì e la gente si ritrovò si addolorarono per i morti e fecero nuove scelte e sognarono nuove visioni e crearono nuovi modi di vivere e guarirono completamente la terra così come erano guariti loro.
E la gente rimase a casa e lesse libri e ascoltò e si riposò e fece esercizi e fece arte e giocò e imparò nuovi modi di essere e si fermò e ascoltò più in profondità qualcuno meditava qualcuno pregava qualcuno ballava qualcuno incontrò la propria ombra e la gente cominciò a pensare in modo differente e la gente guarì.
E nell’assenza di gente che viveva in modi ignoranti pericolosi senza senso e senza cuore, anche la terra cominciò a guarire e quando il pericolo finì e la gente si ritrovò si addolorarono per i morti e fecero nuove scelte e sognarono nuove visioni e crearono nuovi modi di vivere e guarirono completamente la terra così come erano guariti loro.
(Kathleen O’Meara)
Non l'avevo ancora letta. Semplice, bella e opportuna. Condita di speranza e della prospettiva di un futuro migliore. Lo speriamo tutti, credo.
In questo luogo giacciono i resti di una creatura che possedette la bellezza ma non la vanità la forza ma non l’arroganza il coraggio ma non la ferocia E tutte le virtù dell’uomo senza i suoi Vizi. Quest’elogio, che non sarebbe che vuota lusinga sulle ceneri di un uomo, è un omaggio affatto doveroso alla memoria di “Boatswain”, un Cane che naque in terranova nel maggio del 1803 e morì a Newstead Abbey il 18 novembre 1808. Quando un fiero figlio dell’uomo al seno della terra fa ritorno, sconosciuto alla gloria, ma sorretto da nobili natali, lo scultore si prodiga a mostrare il simulacro vuoto del dolore, e urne istoriate ci rammentano l’uomo che giace lì sepolto; e quando ogni cosa si è compiuta sul sepolcro noi potremo leggere non chi fu quell’uomo, ma chi doveva essere. Ma il misero cane, l’amico più caro in vita, che per primo saluta e che difende ultimo, il cui bel cuore appartiene al suo padrone, che lotta, respira, vive e fatica per lui solo, cade senza onori; e solo col silenzio è premiato il suo valore; e l’anima che fu sua su questa terra gli vien negata in cielo; mentre l’uomo, insetto vano! spera il perdono,e per sé solo pretende un paradiso intero. O uomo! flebile inquilino della terra per un’ora, abietto in servitù, corrotto dal potere, ti fugge con disgusto chi ti conosce bene, o vile massa di polvere animata! L’amore in te è lussuria, l’amicizia truffa, la parola inganno, il sorriso menzogna! Vile per natura, nobile sol di nome, ogni animale ti mette alla vergogna. O tu, che per caso guardi quest’umile sepolcro, passa e va’ : non è in onore di creatura degna del tuo pianto. Esso fu innalzato per segnare il luogo ove tutto quel che di un amico resta riposa in pace; un sol ne conobbi: e qui si giace.
“Per me” dice Valentine, “nelle incoerenze dell’amore trattate da Molière, amare ciò che non conviene è la molla più sovente utilizzata, perché contiene un impatto drammatico eterno e pone la dolorosa questione della difficoltà di amare. Amare ciò che non conviene, sorgente di errori e di conflitti, spinge i personaggi alla scelta cruciale dell’amore: la scelta tra l’amore tout court e l’amore di sé. […] Molière solleva ante litteram uno dei problemi fondamentali delle coppie moderne: l’indipendenza della donna. Ciascuno dei due eroi muove ed anima il suo universo, li confrontano ad armi uguali e questi universi sono irriducibili l’un l’altro. E questa passione irragionevole che Alceste (il protagonista de “Il Misantropo, n.d.r.) combatte, questa passione è a volte profondamente toccante. Quando per esempio Alceste, il puro, l’intransigente, il nemico fanatico della menzogna, supplica Celimene (la donna di cui Alceste è innamorato, n.d.r.) di mentirgli. Atto quarto, scena terza: “Sforzatevi di apparire fedele ed io mi sforzerò di credervi tale”. Nel quinto atto egli spera ancora di cambiarla ma è una chimera, non si può cambiare un essere e non si ha il diritto di esigere questo cambiamento. Attraverso delle scuse imbarazzate, nel linguaggio prezioso del XVII secolo, ciò che Celimene vuol far comprendere ad Alceste, ciò che lei vuole dirgli è: “Se mi ami, accetta me come sono perché io non cambierò. Tu accetta me come sono ed io accetterò te come sei”. Alceste è intransigente, egoista, possessivo. Celimene è leggera, irresponsabile, infedele. Ma se accettassero i loro difetti, se riuscissero a sorridere delle loro differenze sarebbe la vittoria dell’amore sull’amor proprio. Solo che questi sacrifici non sono degni che di un grande amore. E come si riconosce un grande amore? Il giorno in cui ci si accorge che l’unico essere al mondo che può consolarvi è quello che vi ha fatto del male, allora si sa che si è una coppia. “Il Misantropo”: commedia o tragedia? Monsieur (il fratello del re Luigi XIV, n.d.r.) diceva uscendo da una rappresentazione: “Quando si smette di ridere, bisognerebbe piangere!” ed è vero: assistere al fallimento di un grande amore è terribilmente triste, immaginare i due eroi ricacciati nel deserto della loro solitudine è una desolazione. Io credo sia questo il messaggio di Molière giunto a noi attraverso il tempo. E’ a voi, se permettete, che questo discorso è diretto: c’è qualcuno tra voi che ama abbastanza l’essere che dice di amare da preferire la sua felicità alla propria? Da lasciarlo vivere al suo ritmo, piangere delle sue delusioni, ridere delle sue gioie? E terminerei con queste parole di Alfred De Musset: “Tutti gli uomini sono bugiardi, incostanti, falsi, chiacchieroni, ipocriti, orgogliosi e vili, vigliacchi e sensuali. Tutte le donne sono perfide, vanitose, artificiose, curiose, depravate. Ma se c’è al mondo una cosa santa e sublime è l’unione di questi due esseri così imperfetti e vuoti.” “Non Si Scherza Con L’Amore”, scena seconda, atto quinto.” dal film Monologo di Sophie Marceau nel film “L’Etudiante” del 1988,
Fragile, opulenta donna, matrice del paradiso sei un granello di colpa anche agli occhi di Dio malgrado le tue sante guerre per l’emancipazione. Spaccarono la tua bellezza e rimane uno scheletro d’amore che però grida ancora vendetta e soltanto tu riesci ancora a piangere, poi ti volgi e vedi ancora i tuoi figli, poi ti volti e non sai ancora dire e taci meravigliata e allora diventi grande come la terra e innalzi il tuo canto d’amore.
Mentre una notte se n’annava a spasso, la vecchia tartaruga fece er passo più lungo de la gamba e cascò giù cò la casa vortata sottoinsù. Un rospo je strillò: “Scema che sei! Queste sò scappatelle che costeno la pelle…” “lo sò” rispose lei “ma prima de morì, vedo le stelle”.
Chist'è 'na storia d'un pisci spada Storia d'amuri
Ddà è, ddà è, lu vitti, lu vitti, lu vitti Pigghia la fiocina, uccidilu, uccidilu, oh
E pigghiaru la fimmineddra Drittu drittu 'ntra lu cori E chiangia di duluri Ahi ahi, ahi ahi ahi
E la varca la strascinava E lu sangu ni curria E lu masculu chiangia Ahi ahi, ahi ahi ahi
E lu masculu paria 'mpazzutu Nni dicia: "Beddra mia nun chiangiri, beddra mia, nun chiangiri Dimme tia ch'aiu fari"
Rispunnia la fimmineddra Cu nu filu, filu 'e vuci "Scappa, scappa, amuri mio Ca sinnò t'accidinu No, no, no, no, amuri mio Si tu mori, vogghiu muriri ansieme a tia Si tu mori, amuri mio, vogghiu muriri"
Cun un sartu si truvò cu issa Cucchiu cucchiu, cori a cori E accussì finiu l'amuri di du' pisci sfortunati
Ddà è, ddà è, lu vitti, lu vitti, lu vitti C'è puru lu masculu Pigghia la fiocina, uccidilu, uccidilu, oh
Chist'è 'na storia d'un pisci spada Storia d'amuri
Lo sai che d'è la bolla de sapone? L'astuccio trasparente d'un sospiro che uscita da la canna vola in giro sballottolata senza direzzione pe' fasse cunnolà come se sia dar vento stesso che la porti via.
Una farfalla bianca un certo giorno ner vedé quella palla cristallina che rispecchiava come na' vetrina tutta la robba che c'aveva intorno j'agnede incontro e la chiamò -Sorella! Fammete rimirà, quanto sei bella! Er cielo er mare l'arberi e li fiori pare che t'accompagnino ner volo e mentre rubbi in un momento solo tutte le luci e tutti li colori te godi er monno e te ne vai tranquilla ner sole che brilluccica e sfavilla.-
La bolla de sapone je rispose - So' bella sì, ma duro troppo poco. La vita mia che nasce per un gioco come la maggior parte delle cose è una goccia e tutto quanto finisce in una lacrima di pianto!-
Venerdì Santo, prima di sera, c'era l'odore di primavera; Venerdì Santo, le chiese aperte mostrano in viola che Cristo è morto; Venerdì Santo, piene d'incenso sono le vecchie strade del centro o forse è polvere che in primavera sembra bruciare come la cera.
Venerdì Santo, stanchi di gente, siamo in un buio fatto di niente Venerdì Santo, anche l'amore sembra languore di penitenza Venerdì Santo, muore il Signore, tu muori amore fra le mie braccia, poi viene sera resta soltanto dolce un ricordo: Venerdì Santo...
Venerdì Santo, prima di sera, c'era l'odore di primavera; Venerdì Santo, le chiese aperte mostrano in viola che Cristo è morto; Venerdì Santo, piene d'incenso sono le vecchie strade del centro o forse è polvere che in primavera sembra bruciare come la cera.
Venerdì Santo, stanchi di gente, siamo in un buio fatto di niente Venerdì Santo, anche l'amore sembra languore di penitenza Venerdì Santo, muore il Signore, tu muori amore fra le mie braccia, poi viene sera resta soltanto dolce un ricordo: Venerdì Santo...
Non restare a piangere sulla mia tomba (Canto Navajo)
Non restare a piangere sulla mia tomba, non sono lì, non dormo. Sono mille venti che soffiano, sono la scintilla diamante sulla neve, sono la luce del sole sul grano maturo. Sono la pioggerellina d’autunno quando ti svegli nella quiete del mattino… Sono le stelle che brillano la notte. Non restare a piangere sulla mia tomba, non sono lì, non dormo
Le donne che amano il mare, se lo portano dentro, fa parte della loro essenza. Vivono di correnti e di alte maree, alternando tenere carezze alla forza della passione. Quando sono in burrasca diventano tempestose, imprevedibili, difficili da affrontare. Ci sorprendono per le improvvise tempeste emotive, ma quando la furia delle onde si placa, diventano dolci, silenziose e accoglienti. Sanno stupirci per le ricchezze che possiamo trovare nelle loro profondità. Perché le donne che amano il mare sono anime burrascose e accoglienti in cui vorremmo vivere per sempre..( Agostino Degas)
Subito si cuce questo niente da dire ad una voce che batte. Vuole palpitare ancora forte, forte forte dire sono - sono qui - e sentire che c'è tra stella e ramo e piuma e pelo e mano un unico danzare approfondito, e dialogo di particelle mai assopite, mai morte mai finite. Siamo questo traslare cambiare posto e nome. Siamo un essere qui perenne navigare di sostanze da nome a nome. Siamo.
Il vento del nord soffiando si avvicina. Gli alberi alberi d'inverno, tutti, danzano. Anch'io mi adeguo, e danzo. In fondo neanche il cielo sembra resistere: i fiocchi di neve disordinatamente danzano. Anche gli orsi nel profondo delle caverne, e le serpi sepolte lungo i pendii delle colline, si svegliano per un attimo dal lungo sonno e danzano pacatamente al ritmo delle cose terrene.
Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marca, chi non rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.
Lentamente muore chi fa della televisione il suo guru.
Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle "i" piuttosto che un insieme di emozioni, proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti all'errore e ai sentimenti.
Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro, chi non rischia la certezza per l'incertezza, per inseguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati.
Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso.
Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia aiutare.
Muore lentamente chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.
Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.
Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità.
Ode al giorno felice (di Pablo Neruda)
Questa volta lasciate che sia felice, non è successo nulla a nessuno, non sono da nessuna parte, succede solo che sono felice fino all'ultimo profondo angolino del cuore.
Camminando,dormendo o scrivendo, che posso farci, sono felice. sono più sterminato dell'erba nelle praterie, sento la pelle come un albero raggrinzito, e l'acqua sotto,gli uccelli in cima, il mare come un anello intorno alla mia vita, fatta di pane e pietra la terra l'aria canta come una chitarra.
E lì dalle tenebre mi sollevai al tuo petto, senz'essere e senza sapere andai alla torre del frumento, sorsi per vivere tra le tue mani, mi sollevai dal mare alla tua gioia. ----- Non ti amo come fossi rosa di sale, topazio o freccia di garofani che propagano il fuoco, t'amo come si amano certe cose oscure, segretamente, tra l'ombra e l'anima. Ti amo come pianta che non fiorisce e reca dentro di sé, nascosta, la luce di quei fiori, e grazie al tuo amore vive oscuro nel mio corpo il denso aroma che sale dalla terra.
“Nessuno, mamma, ha mai sofferto tanto…” E il volto già scomparso Ma gli occhi ancora vivi Dal guanciale volgeva alla finestra, E riempivano passeri la stanza Verso le briciole dal babbo sparse Per distrarre il suo bimbo…
Ora potrò baciare solo in sogno Le fiduciose mani… E discorro, lavoro, Sono appena mutato, temo, fumo… Come si può ch’io regga a tanta notte?…
Mi porteranno gli anni Chissà quali altri orrori, Ma ti sentivo accanto, M’avresti consolato…
Mai, non saprete mai come m’illumina L’ombra che mi si pone a lato, timida, Quando non spero più…
Ora dov’è, dov’è l’ingenua voce Che in corsa risuonando per le stanze Sollevava dai crucci un uomo stanco? La terra l’ha disfatta, la protegge Un passato di favola…
Ogni altra voce è un’eco che si spegne Ora che una mi chiama Dalle vette immortali….
In cielo cerco il tuo felice volto, Ed i miei occhi in me null’altro vedano Quando anch’essi vorrà chiudere Iddio…
E t’amo, t’amo, ed è continuo schianto!…
Sono tornato ai colli, ai pini amati E del ritmo dell’aria il patrio accento Che non riudrò con te, Mi spezza ad ogni soffio..
Non più furori reca a me l’estate, Né primavera i suoi presentimenti; Puoi declinare, autunno, Con le tue stolte glorie: Per uno spoglio desiderio, inverno Distende la stagione più clemente!…
Commenti
Sempre attento e paziente
GLI AMICI
Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il sguardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare.
E la gente rimase a casa
e lesse libri e ascoltò
e si riposò e fece esercizi
e fece arte e giocò
e imparò nuovi modi di essere
e si fermò
e ascoltò più in profondità
qualcuno meditava
qualcuno pregava
qualcuno ballava
qualcuno incontrò la propria ombra
e la gente cominciò a pensare in modo differente
e la gente guarì.
E nell’assenza di gente che viveva
in modi ignoranti
pericolosi
senza senso e senza cuore,
anche la terra cominciò a guarire
e quando il pericolo finì
e la gente si ritrovò
si addolorarono per i morti
e fecero nuove scelte
e sognarono nuove visioni
e crearono nuovi modi di vivere
e guarirono completamente la terra
così come erano guariti loro.
(Kathleen O’Meara)
Semplice, bella e opportuna. Condita di speranza e della prospettiva di un futuro migliore. Lo speriamo tutti, credo.
Ora, lasciatemi tranquillo.
p.neruda
In questo luogo
giacciono i resti di una creatura
che possedette la bellezza
ma non la vanità
la forza ma non l’arroganza
il coraggio ma non la ferocia
E tutte le virtù dell’uomo
senza i suoi Vizi.
Quest’elogio, che non sarebbe che vuota lusinga
sulle ceneri di un uomo,
è un omaggio affatto doveroso alla memoria di
“Boatswain”, un Cane che naque in terranova
nel maggio del 1803
e morì a Newstead Abbey
il 18 novembre 1808.
Quando un fiero figlio dell’uomo
al seno della terra fa ritorno,
sconosciuto alla gloria, ma sorretto
da nobili natali,
lo scultore si prodiga a mostrare
il simulacro vuoto del dolore,
e urne istoriate ci rammentano
l’uomo che giace lì sepolto;
e quando ogni cosa si è compiuta
sul sepolcro noi potremo leggere
non chi fu quell’uomo,
ma chi doveva essere.
Ma il misero cane, l’amico più caro in vita,
che per primo saluta
e che difende ultimo,
il cui bel cuore appartiene al suo padrone,
che lotta, respira,
vive e fatica per lui solo,
cade senza onori;
e solo col silenzio
è premiato il suo valore;
e l’anima che fu sua su questa terra
gli vien negata in cielo;
mentre l’uomo, insetto vano!
spera il perdono,e per sé solo
pretende un paradiso intero.
O uomo! flebile inquilino della terra per un’ora,
abietto in servitù, corrotto dal potere,
ti fugge con disgusto chi ti conosce bene,
o vile massa di polvere animata!
L’amore in te è lussuria, l’amicizia truffa,
la parola inganno, il sorriso menzogna!
Vile per natura, nobile sol di nome,
ogni animale ti mette alla vergogna.
O tu, che per caso guardi quest’umile sepolcro,
passa e va’ : non è in onore
di creatura degna del tuo pianto.
Esso fu innalzato per segnare
il luogo ove tutto quel che di un amico resta
riposa in pace;
un sol ne conobbi: e qui si giace.
George Gordon Byron
Amare ciò che non conviene, sorgente di errori e di conflitti, spinge i personaggi alla scelta cruciale dell’amore: la scelta tra l’amore tout court e l’amore di sé. […]
Molière solleva ante litteram uno dei problemi fondamentali delle coppie moderne: l’indipendenza della donna.
Ciascuno dei due eroi muove ed anima il suo universo, li confrontano ad armi uguali e questi universi sono irriducibili l’un l’altro.
E questa passione irragionevole che Alceste (il protagonista de “Il Misantropo, n.d.r.) combatte, questa passione è a volte profondamente toccante.
Quando per esempio Alceste, il puro, l’intransigente, il nemico fanatico della menzogna, supplica Celimene (la donna di cui Alceste è innamorato, n.d.r.) di mentirgli.
Atto quarto, scena terza: “Sforzatevi di apparire fedele ed io mi sforzerò di credervi tale”.
Nel quinto atto egli spera ancora di cambiarla ma è una chimera, non si può cambiare un essere e non si ha il diritto di esigere questo cambiamento.
Attraverso delle scuse imbarazzate, nel linguaggio prezioso del XVII secolo, ciò che Celimene vuol far comprendere ad Alceste, ciò che lei vuole dirgli è: “Se mi ami, accetta me come sono perché io non cambierò. Tu accetta me come sono ed io accetterò te come sei”.
Alceste è intransigente, egoista, possessivo. Celimene è leggera, irresponsabile, infedele. Ma se accettassero i loro difetti, se riuscissero a sorridere delle loro differenze sarebbe la vittoria dell’amore sull’amor proprio. Solo che questi sacrifici non sono degni che di un grande amore.
E come si riconosce un grande amore?
Il giorno in cui ci si accorge che l’unico essere al mondo che può consolarvi è quello che vi ha fatto del male, allora si sa che si è una coppia.
“Il Misantropo”: commedia o tragedia?
Monsieur (il fratello del re Luigi XIV, n.d.r.) diceva uscendo da una rappresentazione: “Quando si smette di ridere, bisognerebbe piangere!” ed è vero: assistere al fallimento di un grande amore è terribilmente triste, immaginare i due eroi ricacciati nel deserto della loro solitudine è una desolazione.
Io credo sia questo il messaggio di Molière giunto a noi attraverso il tempo.
E’ a voi, se permettete, che questo discorso è diretto: c’è qualcuno tra voi che ama abbastanza l’essere che dice di amare da preferire la sua felicità alla propria? Da lasciarlo vivere al suo ritmo, piangere delle sue delusioni, ridere delle sue gioie?
E terminerei con queste parole di Alfred De Musset:
“Tutti gli uomini sono bugiardi, incostanti, falsi, chiacchieroni, ipocriti, orgogliosi e vili, vigliacchi e sensuali. Tutte le donne sono perfide, vanitose, artificiose, curiose, depravate. Ma se c’è al mondo una cosa santa e sublime è l’unione di questi due esseri così imperfetti e vuoti.”
“Non Si Scherza Con L’Amore”, scena seconda, atto quinto.”
dal film Monologo di Sophie Marceau nel film “L’Etudiante” del 1988,
uomini e donne nessuno è superiore all'altro.
A tutte le donne, Alda Merini
Fragile, opulenta donna, matrice del paradiso
sei un granello di colpa
anche agli occhi di Dio
malgrado le tue sante guerre
per l’emancipazione.
Spaccarono la tua bellezza
e rimane uno scheletro d’amore
che però grida ancora vendetta
e soltanto tu riesci
ancora a piangere,
poi ti volgi e vedi ancora i tuoi figli,
poi ti volti e non sai ancora dire
e taci meravigliata
e allora diventi grande come la terra
e innalzi il tuo canto d’amore.
La tartaruga - Trilussa
Mentre una notte se n’annava a spasso,
la vecchia tartaruga fece er passo più lungo
de la gamba e cascò giù
cò la casa vortata sottoinsù.
Un rospo je strillò: “Scema che sei!
Queste sò scappatelle che costeno la pelle…”
“lo sò” rispose lei “ma prima de morì,
vedo le stelle”.
'U Pisci Spada
Storia d'amuri
Pigghia la fiocina, uccidilu, uccidilu, oh
Drittu drittu 'ntra lu cori
E chiangia di duluri
Ahi ahi, ahi ahi ahi
E lu sangu ni curria
E lu masculu chiangia
Ahi ahi, ahi ahi ahi
Nni dicia: "Beddra mia nun chiangiri, beddra mia, nun chiangiri
Dimme tia ch'aiu fari"
Cu nu filu, filu 'e vuci
"Scappa, scappa, amuri mio
Ca sinnò t'accidinu
No, no, no, no, amuri mio
Si tu mori, vogghiu muriri ansieme a tia
Si tu mori, amuri mio, vogghiu muriri"
Cucchiu cucchiu, cori a cori
E accussì finiu l'amuri di du' pisci sfortunati
C'è puru lu masculu
Pigghia la fiocina, uccidilu, uccidilu, oh
Storia d'amuri
Lo sai che d'è la bolla de sapone?
L'astuccio trasparente d'un sospiro
che uscita da la canna vola in giro
sballottolata senza direzzione
pe' fasse cunnolà come se sia
dar vento stesso che la porti via.
Una farfalla bianca un certo giorno
ner vedé quella palla cristallina
che rispecchiava come na' vetrina
tutta la robba che c'aveva intorno
j'agnede incontro e la chiamò
-Sorella! Fammete rimirà, quanto sei bella!
Er cielo er mare l'arberi e li fiori
pare che t'accompagnino ner volo
e mentre rubbi in un momento solo
tutte le luci e tutti li colori
te godi er monno e te ne vai tranquilla
ner sole che brilluccica e sfavilla.-
La bolla de sapone je rispose
- So' bella sì, ma duro troppo poco.
La vita mia che nasce per un gioco
come la maggior parte delle cose
è una goccia e tutto quanto
finisce in una lacrima di pianto!-
Venerdì Santo ( francesco guccini 1966)
Venerdì Santo, prima di sera, c'era l'odore di primavera;
Venerdì Santo, le chiese aperte mostrano in viola che Cristo è morto;
Venerdì Santo, piene d'incenso sono le vecchie strade del centro
o forse è polvere che in primavera sembra bruciare come la cera.
Venerdì Santo, stanchi di gente, siamo in un buio fatto di niente
Venerdì Santo, anche l'amore sembra languore di penitenza
Venerdì Santo, muore il Signore, tu muori amore fra le mie braccia,
poi viene sera resta soltanto dolce un ricordo: Venerdì Santo...
Venerdì Santo, prima di sera, c'era l'odore di primavera;
Venerdì Santo, le chiese aperte mostrano in viola che Cristo è morto;
Venerdì Santo, piene d'incenso sono le vecchie strade del centro
o forse è polvere che in primavera sembra bruciare come la cera.
Venerdì Santo, stanchi di gente, siamo in un buio fatto di niente
Venerdì Santo, anche l'amore sembra languore di penitenza
Venerdì Santo, muore il Signore, tu muori amore fra le mie braccia,
poi viene sera resta soltanto dolce un ricordo: Venerdì Santo...
(Canto Navajo)
Non restare a piangere sulla mia tomba,
non sono lì, non dormo.
Sono mille venti che soffiano,
sono la scintilla diamante sulla neve,
sono la luce del sole sul grano maturo.
Sono la pioggerellina d’autunno
quando ti svegli nella quiete del mattino…
Sono le stelle che brillano la notte.
Non restare a piangere sulla mia tomba,
non sono lì, non dormo
.
Le donne che amano il mare,
se lo portano dentro,
fa parte della loro essenza.
Vivono di correnti e di alte maree,
alternando tenere carezze
alla forza della passione.
Quando sono in burrasca
diventano tempestose,
imprevedibili, difficili da affrontare.
Ci sorprendono per le improvvise
tempeste emotive,
ma quando la furia delle onde si placa,
diventano dolci, silenziose e accoglienti.
Sanno stupirci per le ricchezze
che possiamo trovare nelle loro profondità.
Perché le donne che amano il mare
sono anime burrascose e accoglienti
in cui vorremmo vivere per sempre..( Agostino Degas)
E so che tu lo sentirai
Ti volterai senza vedermi
ma io sarò lì
Subito si cuce questo niente da dire
ad una voce che batte.
Vuole palpitare ancora forte, forte forte
dire sono - sono qui -
e sentire che c'è tra stella e ramo
e piuma e pelo e mano
un unico danzare approfondito,
e dialogo di particelle mai assopite,
mai morte mai finite.
Siamo questo traslare
cambiare posto e nome.
Siamo un essere qui
perenne navigare di sostanze
da nome a nome.
Siamo.
Mariangela Gualtieri.
Il vento del nord soffiando si avvicina.
Gli alberi
alberi d'inverno, tutti, danzano.
Anch'io mi adeguo, e danzo.
In fondo
neanche il cielo sembra resistere:
i fiocchi di neve disordinatamente danzano.
Anche gli orsi nel profondo delle caverne,
e le serpi sepolte lungo i pendii delle colline,
si svegliano per un attimo dal lungo sonno
e danzano pacatamente
al ritmo delle cose terrene.
Ko Un
Ode alla Vita (di Pablo Neruda)
Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni
giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marca, chi non rischia
e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.
Lentamente muore chi fa della televisione il suo guru.
Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su
bianco e i puntini sulle "i" piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno
sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti
all'errore e ai sentimenti.
Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul
lavoro, chi non rischia la certezza per l'incertezza, per inseguire
un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire
ai consigli sensati.
Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi non ascolta
musica, chi non trova grazia in se stesso.
Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia
aiutare.
Muore lentamente chi passa i giorni a lamentarsi della propria
sfortuna o della pioggia incessante.
Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi
non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde
quando gli chiedono qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di
respirare.
Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una
splendida felicità.
Ode al giorno felice (di Pablo Neruda)
Questa volta lasciate che sia felice,
non è successo nulla a nessuno,
non sono da nessuna parte,
succede solo che sono felice
fino all'ultimo profondo angolino del cuore.
Camminando,dormendo o scrivendo,
che posso farci, sono felice.
sono più sterminato dell'erba nelle praterie,
sento la pelle come un albero raggrinzito,
e l'acqua sotto,gli uccelli in cima,
il mare come un anello intorno alla mia vita,
fatta di pane e pietra la terra
l'aria canta come una chitarra.
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Non ti amo come fossi rosa di sale, topazio o freccia di garofani che propagano il fuoco, t'amo come si amano certe cose oscure, segretamente, tra l'ombra e l'anima. Ti amo come pianta che non fiorisce e reca dentro di sé, nascosta, la luce di quei fiori, e grazie al tuo amore vive oscuro nel mio corpo il denso aroma che sale dalla terra.
neruda
I TUOI OCCHIALI
Ho ritrovato i tuoi occhiali.
Non so come mai erano rimasti
in fondo di un cassetto in casa mia.
Oggi li ho ritrovati così per caso
e così senza pensarci li ho infilati.
Mi s’è sfocato di colpo tutto intorno,
come avvolto in una nebbia bianca:
non so se erano le lenti degli occhiali
ho le lacrime che mi riempivano gli occhi.
Ma mentre vedevo annebbiato tutto intorno
dentro di me ho visto con limpidezza
come su di uno schermo passare le cose d’allora,
e ho sentito stringersi un nodo alla gola.
Ho ricordato il giorno che li hai comprati
un po’ mortificata di diventare vecchia,
poi hai detto, stringendoti il mio bambino al seno:
"Sai, il mio nipotino voglio vederlo bene!"
Povera cara, fossero bastati gli occhiali
per veder crescere i tuoi nipotini!
Invece di lassù il Signore
cominciava già a chiamarti con amore:
perchè i più buoni, lo sai, quelli li vuole per sè!
Ora rimetto nel cassetto i tuoi occhiali,
mi asciugo gli occhi, e lo specchio del comò
mi dice quanto tempo è passato;
vedo fili d’argento brillare tra i miei capelli,
e sento bruciare nel cuore come una fiamma:
è il rimpianto di quei giorni così belli
quando avevo la gioventù, la felicità,
e te, mamma.
Alba Toscanini
“ON RAIXÙN MI!” di Roberto Rovelli
m’eira rüsàu cun me’ pàire;
u capitava suvénte de cheli tempi,
forsci a l’eira l’età
e a mei tùcia de zùvenu testardu.
Ma chi ghe pativa de ciü
a l’eira chela povera dòna de me’ màire.
Cuscì, arragiàu, eira sciurtìu
sbatendu a porta;
u l’eira cume vurré dì,
“on raixùn mi!”, inscì se raixùn
mi nu’ n’ava propiu pe’ rèn.
U ghe vö d’u tempu
pe’ acapì e gafe d’a zuventü:
empürsi sença cuntròlu
e emuçiùn numia de çervelu.
Afurtünàu chi l’arrésce turna a arvì
chela porta sbatüa da arragiàu,
percose, se a l’arresta serrà,
â longa u l’arresta serràu inscì u cö.
Roberto Rovelli – Dialetto di La Mortola (Ventimiglia)
“HO RAGIONE IO!”
Quella sera a cena
mi ero bisticciato con mio padre;
succedeva sovente a quei tempi,
forse era l’età
ed il mio atteggiamento di giovane testardo.
Ma chi ci soffriva di più
era quella povera donna di mia madre.
Così, arrabbiato, ero uscito
sbattendo la porta;
era come voler dire,
“ho ragione io!”, anche se ragione
non ne avevo proprio per nulla.
Ci vuole del tempo
per capire gli sbagli della gioventù:
impulsi senza controllo
ed emozioni invece di cervello.
Fortunato chi riesce nuovamente ad aprire
quella porta sbattuta da arrabbiato,
perché, se rimane chiusa,
a lungo andare rimane chiuso anche il cuore.
Giorno per giorno Giuseppe Ungaretti
E il volto già scomparso
Ma gli occhi ancora vivi
Dal guanciale volgeva alla finestra,
E riempivano passeri la stanza
Verso le briciole dal babbo sparse
Per distrarre il suo bimbo…
Le fiduciose mani…
E discorro, lavoro,
Sono appena mutato, temo, fumo…
Come si può ch’io regga a tanta notte?…
Chissà quali altri orrori,
Ma ti sentivo accanto,
M’avresti consolato…
L’ombra che mi si pone a lato, timida,
Quando non spero più…
Che in corsa risuonando per le stanze
Sollevava dai crucci un uomo stanco?
La terra l’ha disfatta, la protegge
Un passato di favola…
Ora che una mi chiama
Dalle vette immortali….
Ed i miei occhi in me null’altro vedano
Quando anch’essi vorrà chiudere Iddio…
E del ritmo dell’aria il patrio accento
Che non riudrò con te,
Mi spezza ad ogni soffio..
Né primavera i suoi presentimenti;
Puoi declinare, autunno,
Con le tue stolte glorie:
Per uno spoglio desiderio, inverno
Distende la stagione più clemente!…