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25 NOVEMBRE 2017

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    modificato 08.12.2017

    “E’ tornata ancora quest’anno la giornata mondiale contro la violenza sulle donne. E’ il giorno in cui l’attenzione del mondo civile si rivolge a quel fenomeno che con un termine terribile e calzante viene chiamato “femminicidio”. E, come sempre, in primo piano è balzato il ricordo di quelle donne che sono state sacrificate da maschi violenti ed egoisti ad una disperata e malintesa affermazione di sé e del proprio prevaricante bisogno di possesso, nascosto per lo più sotto un distorto sentimento d’amore. Sono, le vittime, donne che hanno osato dire “Adesso basta!”, che hanno denunciato, che hanno trovato, il più delle volte attraverso un percorso angoscioso e travagliato, la forza e il coraggio di andare via e di tentare di ricostruirsi una vita. Donne forti, nonostante le ferite e i segni della brutalità sul corpo e nell’anima; ferite e segni che neppure il tempo riuscirà a cancellare Alcune, troppe, non sono sopravvissute. Vittime e cadaveri.
    Ieri, 25 Novembre, queste donne sono diventate istogrammi, percentuali, tema di discussioni nel web e in Tv, argomenti di dibattito nel Parlamento e nelle piazze. Sul palcoscenico pubblico la politica, nei suoi abiti più sobri ma eleganti, fa la sua apparizione, mettendo in scena il canovaccio della solidarietà e dell’indignazione a sostegno delle vittime, che vengono, come sempre, spersonalizzate per tramutarsi in interventi da attuare, relazioni depositate, programmi in esame dalla commissione X o Y. Una prova generale di campagna elettorale. E negli scenari della memoria, come sempre, episodi di subalternità e di sopraffazione, immagini di dolore e di impotenza, storie di solitudine e di ribellione repressa.”

    Così scrivevo qualche giorno dopo il 25 Novembre. Ma non ne ero soddisfatta. Il testo mancava di qualcosa; qualcosa che ronzava nella mia testa in maniera confusa e frammentata, sotto forma di domande, frasi, immagini. Nei giorni successivi l’eco televisiva, attraverso la risonanza provocata da scandali legati al mondo dello spettacolo, mi permise di dare ordine ai miei pensieri e significato a quel qualcosa che ormai, ne ero certa, poteva essere sintetizzato in un unico quesito: Servono queste rievocazioni alle migliaia di donne sconosciute che nell’ombra e in silenzio vivono il loro inferno privato? Sono sufficienti a dare loro il coraggio di reagire e la fiducia nelle istituzioni e credere che troveranno ascolto, aiuto, e sostegno concreto per le necessità immediate? 

    • Durante una delle ultime puntate di Matrix, una donna, vittima di sequestro e di violenze ripetute, veniva intervistata dal conduttore. Isolata rispetto agli altri ospiti in studio, come una protagonista dello spettacolo sotto i riflettori, seduta compostamente e quasi rigida, raccontava la sua vicenda. Nel corso della intervista, la donna, mani strette in grembo, assumeva un tono via via più concitato, dava più velocità alla narrazione, impedendo quasi al giornalista di inserirsi nel suo racconto, pressata da una urgenza incontenibile. Era trascorso un anno, ma tutto era ancora impresso nella sua memoria come fosse accaduto il giorno prima. E nella esposizione ricordava le frasi che più l’avevano offesa, quella di funzionari di quello stato che avrebbe dovuto tutelare la sua sicurezza. “Ma lei era forse vestita in maniera provocante?”.
      Il reato come responsabilità della donna.

    •  Ricordo un padre che ad una ragazzina di 12 anni, un po’ ribelle, diceva “Tu sei nata per rompermi il c++++“; ricordo un marito che apostrofava, ridendo, la moglie “ Ma tu che ne sai? Tu non capisci niente. E’ meglio se stai zitta”. E ho sentito un automobilista, in preda all’ira: “A voi donne dovrebbero vietare la guida; siete fatte per stare a casa, a badare ai figli”. Queste frasi e altre similari generalmente non sono premonitrici di eventi sanguinosi, e tuttavia esse non sono meno dirompenti nello scopo perseguito: la demolizione, la svalutazione e lo svilimento del ruolo e della figura femminile. Anche questa è violenza.
      Per queste donne, che non denunciano, che non si ribellano, che forse ritengono normale il loro ruolo di subalternità rispetto al maschio della famiglia, che sopportano perché non hanno potere contrattuale né alternative, ha un qualche significato la giornata contro la violenza sule donne?

    • Dal Ministero giunge l’invito di dedicare delle ore a parlare nelle classi sull’argomento. Lodevole intento.
      Pure dentro di me sono convinta che nessun discorso, nessun dibattito potrà mai sostituire l’esempio dei modelli familiari. Perché nulla ha maggiore peso di un vissuto quotidiano, che sia d’amore o di dolore e umiliazione. E l’uno, l’amore, e l’altra, la violenza, sono trasmissibili e perpetuabili.

      E allora? Ciascuno tragga le sue conclusioni. Da parte mia, ritengo che ci sia molto da FARE, e che non bastano le rievocazioni a risolvere i tanti problemi affiorati in questi giorni. Spero che ogni giorno sia un 25 Novembre, perché coloro che hanno il compito e il dovere di provvedere alla sicurezza delle donne e di assicurare loro i mezzi per una vita fatta di rispetto e di dignità, non dimentichino e facciano la loro parte.

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